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Potere di autentica del difensore della procura alle liti

Potere di autentica del difensore della procura alle liti 150 150 federico_stissi

Con l’Ordinanza n. 9271/2023, la Corte di Cassazione è intervenuta in merito alla questione relativa alla procura autenticata dal difensore.

Nei fatti veniva contestato che la procura presentata per il ricorso per Cassazione, separata dall’atto introduttivo del ricorso, era stata sottoscritta e autenticata a Catania, ma il ricorso presentava data e luogo diversi rispetto alla procura.

La Corte di Cassazione ha motivato il respingimento del ricorso sottolineando la violazione delle formalità legali nella presentazione della procura, la quale deve essere coerente con l’atto introduttivo e deve rispettare le norme riguardanti data e luogo di redazione, ossia apposta in calce o a margine di uno degli atti menzionati nel 1° periodo dell’art. 83 c.p.c.

Nell’Ordinanza in commento, la Suprema Corte ha stabilito che l’avvocato può autenticare l’autografia della sottoscrizione soltanto se la procura è apposta in calce o a margine del ricorso, in quanto, a differenza dei notai quali pubblici ufficiali, gli avvocati sono soggetti a restrizioni specifiche regolate da disposizioni speciali.

Ne consegue che, a differenza dei notai, la facoltà di autenticazione della firma del cliente da parte dell’avvocato si estende solo alle situazioni in cui la procura è legata al ricorso, per cui non si può certificare una procura separata, redatta e sottoscritta in un luogo e in un momento diverso rispetto all’atto introduttivo.

Responsabilità del Comune per rumori molesti dopo la chiusura dei locali

Responsabilità del Comune per rumori molesti dopo la chiusura dei locali 150 150 federico_stissi

Caso assai ricorrente (soprattutto in estate): a chi chiedere il risarcimento del danno per rumori molesti provenienti dalla strada dopo la chiusura dei locali?

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 14209 /2023 (link in calce) ha ribadito la responsabilità della P.A., nel caso di specie del Comune, accogliendo il ricorso di una coppia di coniugi che aveva agito contro il Comune di Brescia per le immissioni di rumore nella propria abitazione provenienti dalla strada di notte da avventori tardivi dei locali.

In primo grado il Tribunale territoriale diede loro ragione ordinando, oltre al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale, anche la predisposizione di un presidio di vigilanza per disperdere la folla nelle ore notturne.

La Corte di Appello rovesciò la sentenza di primo grado affermando:

  • l’inidoneità del Comune di essere parte convenuta in giudizio in assenza di norme specifiche che ne imponessero l’obbligo di intervento in merito alla vicenda;
  • l’esclusione di potere del Giudice Ordinario di determinare le modalità di intervento del Comune.

In merito al primo aspetto, la Corte di Cassazione ha ritenuto che “la P.A. è tenuta ad osservare le regole tecniche o i canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni e, quindi, il principio del neminem laedere, con ciò potendo essere condannata sia al risarcimento del danno (artt. 2043 e 2059 c.c.) patito dal privato in conseguenza delle immissioni nocive che abbiano comportato la lesione di quei diritti, sia la condanna ad un facere, al fine di riportare le immissioni al di sotto della soglia di tollerabilità, non investendo una tale domanda, di per sé, scelte ed atti autoritativi, ma, per l’appunto, un’attività soggetta al principio del neminem laedere“. Di conseguenza ne legittima la titolarità quale convenuta.

Per quanto riguarda il secondo punto, la Suprema Corte ritiene che la domanda di risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, “non postula alcun intervento del giudice ordinario di conformazione del potere pubblico e, dunque, non spiega alcuna incidenza rispetto al perimetro dei limiti interni della relativa giurisdizione, ma richiede soltanto la verifica della violazione da parte della P.A. del principio del neminem laedere e, dunque, della sussistenza o meno della responsabilità ai sensi dell’art. 2043 c.c., per aver mancato di osservare le regole tecniche o i canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni quale condotta, connotata da c.d. colpa generica, determinativa di danno ingiusto per il privato“.

Pertanto la disposizione del Tribunale territoriale di imporre determinati comportamenti al Comune “non impediva, però, ogni diversa delibazione del giudice di secondo grado, coerente con la portata della domanda formulata dagli attori, che fosse volta ad imporre alla P.A. (non già le modalità di esercizio del potere discrezionale ad essa spettante, ma) di procedere agli interventi idonei ed esigibili per riportare le immissioni acustiche entro la soglia di tollerabilità, ossia quegli interventi orientati al ripristino della legalità a tutela dei diritti soggettivi violati“.

Cassazione Civile n. 14209-2023

Rapina con mascherina, c’è l’aggravante del travisamento

Rapina con mascherina, c’è l’aggravante del travisamento 150 150 federico_stissi

La Corte di Cassazione, II Sez. Penale, con la sentenza n. 22049/2023 (link in calce) ha confermato la decisione della Corte di Appello di Lecce che ha condannato un uomo alla pena di anni sei, mesi due, giorni dieci di reclusione ed 2.300 euro di multa per i delitti di rapina aggravata con l’aggravante del travisamento del volto.

Nei fatti emerge che il rapinatore nel corso della commissione del reato aveva utilizzato una mascherina anticovid, che in quel periodo, ossia novembre 2021, era obbligatoria per legge.

In merito alla contestata aggravante, l’imputato ha sostenuto nel corso del giudizio che essendo la mascherina obbligatoria in quel periodo il suo intento non era quello di travisarsi il volto, ma di non attirare l’attenzione della gente, anche perché transitare in un luogo chiuso senza mascherina avrebbe sicuramente destato attenzione alle persone circostanti.

La Suprema Corte, però, ribadendo quanto già affermato in precedenza con la sentenza n. 1712/2022, ha ritenuto che, in tema di rapina, ricorrono gli estremi dell’aggravante del travisamento ex art. 628, co. 3, n. 1 c.p., “nel caso in cui l’agente indossi una mascherina, non rilevando, in contrario, che l’uso della stessa sia prescritto dalla normativa di contrasto alla pandemia da Covid-19, atteso che la parziale copertura del volto mediante la mascherina è funzionale al compimento dell’azione delittuosa, rendendo difficoltoso il riconoscimento del responsabile“.

 

Cassazione Penale n. 22049-2023

Abusivismo: anche la casetta sull’albero va demolita

Abusivismo: anche la casetta sull’albero va demolita 150 150 federico_stissi

Casetta sull’albero per bambini? Se abitabile e accessoriata, va’ demolita. Sembra paradossale, ma così ha stabilito il T.A.R. Genova con la sentenza n. 507/2023 (link in calce) e che tanto farà discutere.

La vicenda è delineata da confini tanto semplici quanto ricorrenti: la presenza di un albero abbastanza robusto nel giardino di casa, un bambino desideroso della propria area giochi in stile americano e un papà volenteroso di accontentare il proprio figlio.

Risultato: una casetta sull’albero (trattasi di tronco di palma abbattuto per via del “punteruolo rosso”) di 5 mq, con tanto di tavolino, tre sedie e lampadina per i giochi serali.

Tutto molto bello, se non fosse che il sindaco del Comune ha rilevato abusività della costruzione ordinandone la demolizione sulla base della equiparazione della casetta ad un opera edile vera e propria, utilizzata stabilmente e non precaria.

Nel giudizio instaurato dal “costruttore” il T.A.R. di Genova ha dato ragione al sindaco. Seppur distinguendo tra precarietà strutturale e precarietà funzionale, il Tribunale ha rilevato che entrambi i requisiti erano stati violati e che per effettuare l’opera si sarebbe dovuta presentare una istanza apposita, quale Cia o una Scia.

Il dato normativo parte dal D. Lgs. n. 222/2016, Tabella A, Sez. II, punto 29 e dal D.M. del 02/03/2018, i quali legittimano l’apposizione, senza autorizzazione alcuna, di tende, pergotende, stalli per biciclette, muretti, barbecue in muratura, altalene, scivoli, dondoli, panche, tavoli da picnic, cucce di cani, vasi e fioriere mobili, sempre che non vi siano vincoli specifici.

Dalla pronuncia ne deriva che altre attrezzature quali strutture gonfiabili, tappeti elastici, casette in plastica e similari, potrebbero diventare oggetto di discussione tecnica ed essere preventivamente da dichiarare al Comune da parte del “padre-costruttore”.

T.A.R. Genova sentenza n. 507-2023

Regolamento condominiale e diritto di sopraelevazione

Regolamento condominiale e diritto di sopraelevazione 150 150 federico_stissi

Con la sentenza n. 12795 del 11/05/2023 (link in calce), la Suprema Corte di Cassazione è intervenuta in merito alla compressione del diritto di sopraelevazione spettante al singolo condominio derivante dal vincolo posto dal regolamento di condominio avente natura contrattuale, ossia quello predisposto dal costruttore e registrato in sede di rogito da tutti i proprietari.

Nel caso specifico, vi era contestazione sulle opere realizzate dal proprietario dell’ultimo piano del condominio che, seppur autorizzato da una delibera per effettuare i lavori di parziale chiusura del proprio terrazzo per evitare infiltrazioni d’acqua piovana, aveva realizzato altresì una veranda determinando un notevole aumento volumetrico e una violazione del regolamento condominiale.

Il regolamento, infatti, vietava qualsiasi tipo di intervento edificatorio che modificava l’originario aspetto architettonico dell’edificio.

Sul punto la Cassazione ha ritenuto prevalente la previsione del regolamento di condominio avente natura contrattuale, la quale conteneva delle prescrizioni vincolanti e particolarmente severe per i condomini attraverso una tutela pattizia anche più intensa di quella contenuta nel Codice Civile.

In particolare, le previsioni del regolamento di condominio (di natura contrattuale) che abbiano ad oggetto la conservazione dell’originario aspetto architettonico dell’edificio, possono contenere prescrizioni vincolanti per i singoli condomini che vanno a comprimere il diritto di proprietà a vantaggio della funzione conservativa del bene comune.

Pertanto, la realizzazione di opere ulteriori difformi da quelle autorizzate dall’assemblea e vincolanti per i singoli condomini dal regolamento, integra una modifica non consentita dell’estetica del condominio, la quale giustifica la condanna al ripristino dell’originario stato dei luoghi.

Cassazione sentenza n. 12795-2023

Corte Costituzionale: Ergastolo e giudizio di bilanciamento

Corte Costituzionale: Ergastolo e giudizio di bilanciamento 150 150 federico_stissi

La Corte Costituzionale con la sentenza n. 94 del 2023 (link in calce), già anticipata con il comunicato stampa del 18/04/2023, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 69 co. 4 c.p., nella parte in cui, relativamente ai delitti puniti con la pena edittale dell’ergastolo e al giudizio di bilanciamento, prevede il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata.

Secondo la sentenza della Consulta, che farà scuola unitamente alle altre che hanno già dichiarato illegittimo il divieto con numerose sentenze in riferimento a reati anche molto gravi, la pena edittale dell’ergastolo non può essere “fissa” e “indefettibile” per effetto del divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sull’aggravante della recidiva reiterata.

La Corte, infatti, ha ribadito che non può esserci divieto di bilanciamento tra circostanze attenuanti e aggravanti e recidiva reiterata nelle ipotesi in cui la differenza tra la pena base e quella risultante dall’applicazione di un’attenuante sia molto elevata, in quanto la necessaria funzione di riequilibrio della pena, svolta dall’attenuante, è compromessa dal divieto di prevalenza.

E ciò deve valere anche nel caso in cui la pena edittale è quella fissa dell’ergastolo, ossia quando ricorre una circostanza attenuante e la pena dell’ergastolo è sostituita da quella della reclusione da venti a ventiquattro anni.

La conseguenza è che ci si pone, altresì, in contrasto con il principio di necessaria proporzionalità della sanzione, attraverso il quale il Giudice opera la gradazione della pena secondo la maggiore o minore offensività della condotta in relazione alle concrete circostanze del reato.

In definitiva, la Corte ha precisato che il Giudice, nel graduare la sanzione in caso di condanna per uno dei delitti puniti l’ergastolo aggravato dalla recidiva reiterata, può operare l’ordinario bilanciamento delle circostanze e, quindi, può ritenere che le attenuanti siano prevalenti sulla recidiva reiterata e conseguentemente non irrogare l’ergastolo, sempre che lo stesso non valuti, al contrario, la prevalenza della recidiva sulle circostanze le attenuanti.

Corte Costituzionale, Sentenza n. 94-2023

Rinuncia all’eredità e perdita di donazioni e legati

Rinuncia all’eredità e perdita di donazioni e legati 150 150 federico_stissi

Il caso sottoposto all’attenzione della Corte di Cassazione riguarda il problema delle donazioni e dei legati effettuati dal rinunciante all’eredità e della conseguente chiamata ereditaria c.d. “per rappresentazione” ai discendenti del rinunciante.

Fino ad ora, infatti, la Giurisprudenza di legittimità non si era mai pronunciata in vicende simili, seppur trattasi di ipotesi frequenti nella pratica di tutti i giorni.

Con la sentenza n. 12813-2023 (link in fondo alla pagina) la Cassazione, attraverso l’interpretazione in combinato disposto dell’art. 467 c.c. e dell’art. 552 c.c., ha statuito che il rinunciante può trattenere le donazioni e i legati effettuati in suo favore e il suo discendente, cui opera la rappresentazione e che consegue l’eredità, dovrà imputare tali atti alla quota di legittima nella quale subentra.

Partendo dalla lettura dell’art. 467 c.c. che disciplina l’istituto della “rappresentazione”, ossia il subentro del discendente all’ascendente (figlio o fratello del de cuius) che non possa o che non voglia accettare l’eredità e dell’art. 552 c.c., secondo cui “il legittimario che rinunzia all’eredità, quando non si ha rappresentazione, può, sulla disponibile, trattenere le donazioni e i legati a suo favore; ma quando non vi è stata espressa dispensa dall’imputazione, se per integrare la legittima spettante agli eredi è necessario ridurre le disposizioni testamentarie o le donazioni, restano salve le assegnazioni, fatte dal testatore sulla disponibile, che non sarebbero soggette a riduzione se il legittimario accettasse l’eredità, e si riducono le donazioni e i legati fatti a questo ultimo“, la Cassazione ritiene che la norma contempli in ogni caso il diritto del donatario di ritenere i beni oggetto della donazione e, in assenza di rappresentazione, gravano in ogni caso sulla quota disponibile.

Nel caso in cui, invece, si verifichi il subentro dei discendenti del rinunciante per rappresentazione, le stesse donazioni e legati vanno fatti gravare sull’indisponibile e quindi sulla quota di legittima.

Cassazione n. 12813-2023

Le linee guida della Procura di Milano sulla Negoziazione Assistita familiare

Le linee guida della Procura di Milano sulla Negoziazione Assistita familiare 150 150 federico_stissi

Sono state pubblicate le linee guida e le indicazioni operative della Procura di Milano per la Negoziazione Assistita familiare.

Innanzitutto, la Procura rammenta che l’accordo può riguardare la separazione personale, la cessazione degli effetti civili o lo scioglimento del matrimonio, la modifica delle condizioni di separazione o divorzio, l’affidamento e il mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio, la modifica delle precedenti condizioni di affidamento e mantenimento dei figli, la determinazione degli alimenti, nonché lo scioglimento dell’unione civile e sue eventuali modifiche successive. Inoltre, che l’accordo sottoscritto dalle parti e da almeno un avvocato per parte, va trasmesso al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale competente per il nulla osta.

Le linee guida si soffermano poi sui termini dell’accordo se si è in presenza di figli minori, maggiorenni incapaci o portatori di handicap gravi ovvero economicamente non autosufficienti, esplicitando che in tali casi – tutti – l’accordo deve essere trasmesso al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale competente entro il termine di dieci giorni dalla data certificata di conclusione dell’accordo, pena l’irricevibilità dello stesso, con la conseguenza per le parti di dover ripresentare un nuovo accordo”.

In riferimento al contenuto dell’accordo, gli avvocati dovranno dare atto ai sensi dell’art. 6 co. 3 di aver tentato di conciliare le parti, di averle informate della possibilità di esperire la mediazione familiare e di averle informate dell’importanza per i figli minori di trascorrere tempi adeguati con ciascun genitore, con ulteriore possibilità di prevedere anche patti di trasferimento immobiliare.

Inoltre, spetterà agli avvocati certificare l’autografia delle firme delle parti, la conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico, l’invio a mezzo pec dell’accordo firmato digitalmente e la valutazione di equità dell’assegno di mantenimento pattuito in unica soluzione.

Per quanto riguarda la competenza territoriale, le linee guida indicano la Procura della Repubblica individuata nel luogo di residenza di una delle parti.

Infine, il documento termina con indicazioni operative relative, in particolare, alla modalità di presentazione dell’accordo (che va firmato digitalmente dagli avvocati e successivamente inviato via PEC alla Procura) e la successiva trasmissione dello stesso, unitamente al nulla osta o autorizzazione, al COA presso cui uno dei legali è iscritto.

Si ricorda, altresì, che il procedimento è esente da contributo unificato, imposta di bollo e diritti di cancelleria, anche per il rilascio di copie conformi.

Linee-guida-procura-milano-negoziazione-assistita

Abuso nei mezzi di correzione e maltrattamenti in famiglia

Abuso nei mezzi di correzione e maltrattamenti in famiglia 150 150 federico_stissi

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 17558/2023 è intervenuta in una vicenda relativa ai maltrattamenti subiti da un minore per esser andato male a scuola.

I fatti riguardano le condotte violente di un padre realizzate nei confronti del figlio minore, consistite nel infliggere calci sul sedere e colpi di cinta alla schiena, per via dello scarso rendimento scolastico dello stesso.

In primo grado il Tribunale aveva riqualificato nel reato di cui all’art. 571 c.p. l’originaria imputazione ex art. 572 c.p. e ciò in ragione dell’esclusione dell’abitualità delle condotte sulla base del solo dato relativo alla sporadicità dei comportamenti, senza tener conto della sistematicità delle violenze fisiche e morali descritte dal figlio.

Secondo gli Ermellini l’abuso ex art. 571 c.p. “presuppone l’eccesso nell’uso di mezzi di correzione o di disciplina in sé giuridicamente leciti. Tali non possono, tuttavia, considerarsi gli atti che, pur ispirati da un ‘animus corrigendi’ sono connotati dall’impiego di violenza fisica o psichica”, in quanto “le condotte connotate da modalità aggressive sono incompatibili con l’esercizio lecito del potere correttivo ed educativo, che mai deve deprimere l’armonico sviluppo della personalità del minore“.

Pertanto, “l’uso di qualunque forma di violenza fisica o psicologica a scopi educativi esula dal perimetro applicativo dell’art. 571 c.p.; ciò sia per il primato che l’ordinamento attribuisce alla dignità della persona, anche del minore, ormai soggetto titolare di diritti e non più, come in passato, semplice oggetto di protezione (se non addirittura di disposizione) da parte degli adulti; sia perché non può perseguirsi, quale meta educativa, un risultato di armonico sviluppo di personalità, sensibile ai valori di pace, di tolleranza, di connivenza utilizzando un mezzo violento che tali fini contraddice“.

Cassazione Sentenza n. 17558-2023

“Piano Casa” e silenzio della P.A.

“Piano Casa” e silenzio della P.A. 150 150 federico_stissi

Il T.A.R. Campania è tornato sulla questione del “Piano Casa” in relazione all’inerzia della P.A. nel dar seguito alle richieste di ampliamento volumetrico.

Il c.d. “Piano Casa” era nato con l’art. 11 del D.L. n. 112/2008 come come Piano Nazionale di edilizia abitativa, con il precipuo fine di promuovere il recupero delle superfici esistenti attraverso un ampliamento volumetrico, evitando il consumo di nuovo suolo.

Nel corso degli anni si è mutuata la prassi per le Regioni di emanare diversi Piani Casa a validità pluriennale, rendendolo di fatto una Legge dedicata con rinnovo a scadenza. In base alle esigenze specifiche di ogni Regione, le stesse hanno adottato Piani Casa che, in maniera differente, concedono un aumento volumetrico dal 10% fino al 30% della superficie.

Dall’evoluzione normativa in materia di silenzio della P.A., si erano venute a creare decisioni incostanti nei vari T.A.R. i quali riconoscevano in alcuni casi valore positivo al silenzio-assenso da parte della P.A. e in altri veniva riconosciuto silenzio-inadempimento in caso di mancata pronuncia nei termini.

Di recente, il T.A.R. Campania ha confermato quello che è l’orientamento prevalente della giurisprudenza, statuendo che sull’inerzia della P.A. relativa alle istanze del “Piano Casa”, che consente ampliamenti volumetrici dell’immobile esistente, non si forma il silenzio-assenso, bensì il silenzio-inadempimento.

Tale pronuncia, seppur corroborata da autorevole dottrina e giurisprudenza, non mette la parola fine al dibattito, almeno finché il Consiglio di Stato non si esprima in un senso o nell’altro.

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