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Abuso nei mezzi di correzione e maltrattamenti in famiglia

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La Corte di Cassazione con la sentenza n. 17558/2023 è intervenuta in una vicenda relativa ai maltrattamenti subiti da un minore per esser andato male a scuola.

I fatti riguardano le condotte violente di un padre realizzate nei confronti del figlio minore, consistite nel infliggere calci sul sedere e colpi di cinta alla schiena, per via dello scarso rendimento scolastico dello stesso.

In primo grado il Tribunale aveva riqualificato nel reato di cui all’art. 571 c.p. l’originaria imputazione ex art. 572 c.p. e ciò in ragione dell’esclusione dell’abitualità delle condotte sulla base del solo dato relativo alla sporadicità dei comportamenti, senza tener conto della sistematicità delle violenze fisiche e morali descritte dal figlio.

Secondo gli Ermellini l’abuso ex art. 571 c.p. “presuppone l’eccesso nell’uso di mezzi di correzione o di disciplina in sé giuridicamente leciti. Tali non possono, tuttavia, considerarsi gli atti che, pur ispirati da un ‘animus corrigendi’ sono connotati dall’impiego di violenza fisica o psichica”, in quanto “le condotte connotate da modalità aggressive sono incompatibili con l’esercizio lecito del potere correttivo ed educativo, che mai deve deprimere l’armonico sviluppo della personalità del minore“.

Pertanto, “l’uso di qualunque forma di violenza fisica o psicologica a scopi educativi esula dal perimetro applicativo dell’art. 571 c.p.; ciò sia per il primato che l’ordinamento attribuisce alla dignità della persona, anche del minore, ormai soggetto titolare di diritti e non più, come in passato, semplice oggetto di protezione (se non addirittura di disposizione) da parte degli adulti; sia perché non può perseguirsi, quale meta educativa, un risultato di armonico sviluppo di personalità, sensibile ai valori di pace, di tolleranza, di connivenza utilizzando un mezzo violento che tali fini contraddice“.

Cassazione Sentenza n. 17558-2023

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