Diritto Civile

Responsabilità del Comune per rumori molesti dopo la chiusura dei locali

Responsabilità del Comune per rumori molesti dopo la chiusura dei locali 150 150 federico_stissi

Caso assai ricorrente (soprattutto in estate): a chi chiedere il risarcimento del danno per rumori molesti provenienti dalla strada dopo la chiusura dei locali?

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 14209 /2023 (link in calce) ha ribadito la responsabilità della P.A., nel caso di specie del Comune, accogliendo il ricorso di una coppia di coniugi che aveva agito contro il Comune di Brescia per le immissioni di rumore nella propria abitazione provenienti dalla strada di notte da avventori tardivi dei locali.

In primo grado il Tribunale territoriale diede loro ragione ordinando, oltre al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale, anche la predisposizione di un presidio di vigilanza per disperdere la folla nelle ore notturne.

La Corte di Appello rovesciò la sentenza di primo grado affermando:

  • l’inidoneità del Comune di essere parte convenuta in giudizio in assenza di norme specifiche che ne imponessero l’obbligo di intervento in merito alla vicenda;
  • l’esclusione di potere del Giudice Ordinario di determinare le modalità di intervento del Comune.

In merito al primo aspetto, la Corte di Cassazione ha ritenuto che “la P.A. è tenuta ad osservare le regole tecniche o i canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni e, quindi, il principio del neminem laedere, con ciò potendo essere condannata sia al risarcimento del danno (artt. 2043 e 2059 c.c.) patito dal privato in conseguenza delle immissioni nocive che abbiano comportato la lesione di quei diritti, sia la condanna ad un facere, al fine di riportare le immissioni al di sotto della soglia di tollerabilità, non investendo una tale domanda, di per sé, scelte ed atti autoritativi, ma, per l’appunto, un’attività soggetta al principio del neminem laedere“. Di conseguenza ne legittima la titolarità quale convenuta.

Per quanto riguarda il secondo punto, la Suprema Corte ritiene che la domanda di risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, “non postula alcun intervento del giudice ordinario di conformazione del potere pubblico e, dunque, non spiega alcuna incidenza rispetto al perimetro dei limiti interni della relativa giurisdizione, ma richiede soltanto la verifica della violazione da parte della P.A. del principio del neminem laedere e, dunque, della sussistenza o meno della responsabilità ai sensi dell’art. 2043 c.c., per aver mancato di osservare le regole tecniche o i canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni quale condotta, connotata da c.d. colpa generica, determinativa di danno ingiusto per il privato“.

Pertanto la disposizione del Tribunale territoriale di imporre determinati comportamenti al Comune “non impediva, però, ogni diversa delibazione del giudice di secondo grado, coerente con la portata della domanda formulata dagli attori, che fosse volta ad imporre alla P.A. (non già le modalità di esercizio del potere discrezionale ad essa spettante, ma) di procedere agli interventi idonei ed esigibili per riportare le immissioni acustiche entro la soglia di tollerabilità, ossia quegli interventi orientati al ripristino della legalità a tutela dei diritti soggettivi violati“.

Cassazione Civile n. 14209-2023

Regolamento condominiale e diritto di sopraelevazione

Regolamento condominiale e diritto di sopraelevazione 150 150 federico_stissi

Con la sentenza n. 12795 del 11/05/2023 (link in calce), la Suprema Corte di Cassazione è intervenuta in merito alla compressione del diritto di sopraelevazione spettante al singolo condominio derivante dal vincolo posto dal regolamento di condominio avente natura contrattuale, ossia quello predisposto dal costruttore e registrato in sede di rogito da tutti i proprietari.

Nel caso specifico, vi era contestazione sulle opere realizzate dal proprietario dell’ultimo piano del condominio che, seppur autorizzato da una delibera per effettuare i lavori di parziale chiusura del proprio terrazzo per evitare infiltrazioni d’acqua piovana, aveva realizzato altresì una veranda determinando un notevole aumento volumetrico e una violazione del regolamento condominiale.

Il regolamento, infatti, vietava qualsiasi tipo di intervento edificatorio che modificava l’originario aspetto architettonico dell’edificio.

Sul punto la Cassazione ha ritenuto prevalente la previsione del regolamento di condominio avente natura contrattuale, la quale conteneva delle prescrizioni vincolanti e particolarmente severe per i condomini attraverso una tutela pattizia anche più intensa di quella contenuta nel Codice Civile.

In particolare, le previsioni del regolamento di condominio (di natura contrattuale) che abbiano ad oggetto la conservazione dell’originario aspetto architettonico dell’edificio, possono contenere prescrizioni vincolanti per i singoli condomini che vanno a comprimere il diritto di proprietà a vantaggio della funzione conservativa del bene comune.

Pertanto, la realizzazione di opere ulteriori difformi da quelle autorizzate dall’assemblea e vincolanti per i singoli condomini dal regolamento, integra una modifica non consentita dell’estetica del condominio, la quale giustifica la condanna al ripristino dell’originario stato dei luoghi.

Cassazione sentenza n. 12795-2023

Rinuncia all’eredità e perdita di donazioni e legati

Rinuncia all’eredità e perdita di donazioni e legati 150 150 federico_stissi

Il caso sottoposto all’attenzione della Corte di Cassazione riguarda il problema delle donazioni e dei legati effettuati dal rinunciante all’eredità e della conseguente chiamata ereditaria c.d. “per rappresentazione” ai discendenti del rinunciante.

Fino ad ora, infatti, la Giurisprudenza di legittimità non si era mai pronunciata in vicende simili, seppur trattasi di ipotesi frequenti nella pratica di tutti i giorni.

Con la sentenza n. 12813-2023 (link in fondo alla pagina) la Cassazione, attraverso l’interpretazione in combinato disposto dell’art. 467 c.c. e dell’art. 552 c.c., ha statuito che il rinunciante può trattenere le donazioni e i legati effettuati in suo favore e il suo discendente, cui opera la rappresentazione e che consegue l’eredità, dovrà imputare tali atti alla quota di legittima nella quale subentra.

Partendo dalla lettura dell’art. 467 c.c. che disciplina l’istituto della “rappresentazione”, ossia il subentro del discendente all’ascendente (figlio o fratello del de cuius) che non possa o che non voglia accettare l’eredità e dell’art. 552 c.c., secondo cui “il legittimario che rinunzia all’eredità, quando non si ha rappresentazione, può, sulla disponibile, trattenere le donazioni e i legati a suo favore; ma quando non vi è stata espressa dispensa dall’imputazione, se per integrare la legittima spettante agli eredi è necessario ridurre le disposizioni testamentarie o le donazioni, restano salve le assegnazioni, fatte dal testatore sulla disponibile, che non sarebbero soggette a riduzione se il legittimario accettasse l’eredità, e si riducono le donazioni e i legati fatti a questo ultimo“, la Cassazione ritiene che la norma contempli in ogni caso il diritto del donatario di ritenere i beni oggetto della donazione e, in assenza di rappresentazione, gravano in ogni caso sulla quota disponibile.

Nel caso in cui, invece, si verifichi il subentro dei discendenti del rinunciante per rappresentazione, le stesse donazioni e legati vanno fatti gravare sull’indisponibile e quindi sulla quota di legittima.

Cassazione n. 12813-2023

Le linee guida della Procura di Milano sulla Negoziazione Assistita familiare

Le linee guida della Procura di Milano sulla Negoziazione Assistita familiare 150 150 federico_stissi

Sono state pubblicate le linee guida e le indicazioni operative della Procura di Milano per la Negoziazione Assistita familiare.

Innanzitutto, la Procura rammenta che l’accordo può riguardare la separazione personale, la cessazione degli effetti civili o lo scioglimento del matrimonio, la modifica delle condizioni di separazione o divorzio, l’affidamento e il mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio, la modifica delle precedenti condizioni di affidamento e mantenimento dei figli, la determinazione degli alimenti, nonché lo scioglimento dell’unione civile e sue eventuali modifiche successive. Inoltre, che l’accordo sottoscritto dalle parti e da almeno un avvocato per parte, va trasmesso al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale competente per il nulla osta.

Le linee guida si soffermano poi sui termini dell’accordo se si è in presenza di figli minori, maggiorenni incapaci o portatori di handicap gravi ovvero economicamente non autosufficienti, esplicitando che in tali casi – tutti – l’accordo deve essere trasmesso al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale competente entro il termine di dieci giorni dalla data certificata di conclusione dell’accordo, pena l’irricevibilità dello stesso, con la conseguenza per le parti di dover ripresentare un nuovo accordo”.

In riferimento al contenuto dell’accordo, gli avvocati dovranno dare atto ai sensi dell’art. 6 co. 3 di aver tentato di conciliare le parti, di averle informate della possibilità di esperire la mediazione familiare e di averle informate dell’importanza per i figli minori di trascorrere tempi adeguati con ciascun genitore, con ulteriore possibilità di prevedere anche patti di trasferimento immobiliare.

Inoltre, spetterà agli avvocati certificare l’autografia delle firme delle parti, la conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico, l’invio a mezzo pec dell’accordo firmato digitalmente e la valutazione di equità dell’assegno di mantenimento pattuito in unica soluzione.

Per quanto riguarda la competenza territoriale, le linee guida indicano la Procura della Repubblica individuata nel luogo di residenza di una delle parti.

Infine, il documento termina con indicazioni operative relative, in particolare, alla modalità di presentazione dell’accordo (che va firmato digitalmente dagli avvocati e successivamente inviato via PEC alla Procura) e la successiva trasmissione dello stesso, unitamente al nulla osta o autorizzazione, al COA presso cui uno dei legali è iscritto.

Si ricorda, altresì, che il procedimento è esente da contributo unificato, imposta di bollo e diritti di cancelleria, anche per il rilascio di copie conformi.

Linee-guida-procura-milano-negoziazione-assistita

Molestie condominiali e parcheggi

Molestie condominiali e parcheggi 150 150 federico_stissi

Con la sentenza n. 18744 del 2023, la Corte di Cassazione ha ritenuto che non integra il reato di molestie l’aver scattato delle foto all’auto del condomino parcheggiata in un’area vietata alla sosta per documentarne il comportamento all’amministratore, anche se a bordo vi erano i figli minori.

Il condominio era stato imputato perché per biasimevole motivo, recava molestia e disturbo ai condomini e successivamente assolto per particolare tenuità del fatto. Contro la decisione ha proposto ricorso per erronea applicazione dell’art. 660 cod. pen. sostenendo la mancanza del motivo biasimevole richiesto dalla norma per la rilevanza penale del fatto.

Ribadendo preliminarmente l’impugnabilità delle sentenze di assoluzione ex art. 131 bis c.p. in considerazione degli effetti penali, civili e amministrativi derivanti, la Corte ha accolto il ricorso affermando che “l’atto per essere molesto deve non soltanto risultare sgradito a chi lo riceve, ma dev’essere anche ispirato da biasimevole, ossia riprovevole, motivo, in alternativa, l’atto per essere molesto deve rivestire il carattere della petulanza, che consiste in un modo di agire pressante ed indiscreto, tale da interferire sgradevolmente nella sfera privata di altri“.

Nel caso di specie “il biasimevole motivo a sostegno del comportamento dell’imputato, il quale aveva scattato le foto dell’autovettura delle persone offese perché essa era ferma in area vietata, per segnalare il comportamento scorretto all’amministratore del condominio” e, inoltre, “in ragione della problematica situazione, sussistente all’interno del condominio, relativa alle aree di sosta e all’occupazione, da parte dei veicoli, di aree in cui la sosta era invece interdetta“, escludendo altresì che le parole rivolte ai condomini non rivestivano i tipici elementi della condotta molesta.

Cassazione n. 18744-2023

Gli NFT e la riproduzione del bene culturale

Gli NFT e la riproduzione del bene culturale 150 150 federico_stissi

L’NFT, non fungible token, può essere un file digitale che, registrato su blockchain, diviene immodificabile in quanto identificato in via univoca e tracciabile, così da garantire l’unicità, l’originalità e la provenienza di un’opera d’arte. Il file può essere nativo digitale o consistere nella riproduzione di un bene che esiste nel mondo reale quale un’opera, una canzone, un ritratto, una creazione della moda, un marchio o magari solo il certificato di revisione della caldaia. L’NFT può essere tutto questo e altro.

Lo spiegano benissimo le Colleghe Margherita e Anna Maria Desiderà, con un notevole articolo pubblicato su SOLE24Ore NT+ Diritto e che si riporta:

Nel caso delle opere d’arte, e delle opere dell’ingegno in generale, quello alla riproduzione dell’opera è però un diritto che la legge n. 633/1941 (legge sul diritto d’autore) riserva solo agli autori.

Nel caso del ritratto, la riproduzione deve essere autorizzata invece dalla persona ritratta (art. 96 legge sul diritto d’autore); così come il diritto alla riproduzione dei marchi, anche nel mondo degli NFT, spetta solo al titolare.

Lo ha confermato il Tribunale di Roma con ordinanza del 20 luglio 2022, la prima in Italia in materia: il produttore degli NFT aveva ottenuto l’autorizzazione alla riproduzione del ritratto di Bobo Vieri, ma non quello della Juventus a riprodurre i marchi sulla maglia indossata dal campione nella fotografia trasformata in NFT.

Anche oltreoceano è stato sancito lo stesso principio nella sentenza MetaBirkin dell’8 febbraio 2023, che la vendita da parte dell’artista Mason Rothschild di NFT denominati MetaBirkin, raffiguranti l’iconico modello di borsa Birkin, integra una violazione dei marchi detenuti da Hermès.

Nel mondo dell’arte, gli NFT sono allora un valido strumento di certificazione della paternità dell’opera in capo all’autore, quando è quest’ultimo a registrare l’NFT sulla blockchain, e della proprietà dell’opera in capo all’acquirente dell’NFT e ai successivi aventi causa. Occorre invece prestare maggiore attenzione quando l’NFT riproduce diritti di proprietà intellettuale di terzi, magari estranei al processo di creazione di quel file digitale.

In questo caso c’è il rischio che il titolare di quei diritti possa vietare la circolazione degli NFT non autorizzati, che integrano invero un atto di contraffazione.

Particolare interesse merita il tema della riproduzione dei “beni culturali”, che ha una disciplina ad hoc nel Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. 22 gennaio 2004 n. 42). Nello specifico l’art. 107 del Codice prevede che, salve le disposizioni sul diritto d’autore (oltre alla normativa speciale in materia di opere di sculture e opere a rilievo), solo le autorità che abbiano in consegna i beni culturali possono consentire la loro riproduzione.

La riproduzione dei beni culturali è subordinata, dunque, al rilascio di una autorizzazione-concessione e al pagamento dei relativi canoni e corrispettivi connessi alle riproduzioni di tali beni, regolamentati al successivo art. 108, che esclude espressamente dal pagamento soltanto le riproduzioni richieste o eseguite da privati per uso personale o per motivi di studio, ovvero da soggetti pubblici o privati per finalità di valorizzazione, purché attuate senza scopo di lucro.

Pertanto chiunque voglia utilizzare o diffondere immagini di un bene culturale per scopi commerciali debba non solo esserne previamente autorizzato ma anche versare i canoni di concessione e i corrispettivi di riproduzione richiesti dalla Autorità.

Lo ha confermato di recente il Tribunale di Venezia con ordinanza del 24 ottobre 2022, accertando che la nota società Ravensburger, leader europea nella produzione di puzzle, ha illecitamente utilizzato e riprodotto in Italia e all’estero l’immagine e il nome dell’opera dell'”Uomo Vitruviano” di Leonardo Da Vinci, di proprietà del Museo delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, riconoscendo, dunque, la sussistenza di un danno patrimoniale per il mancato pagamento del canone di concessione e dei corrispettivi di riproduzione, oltre a un danno non patrimoniale, per lo svilimento dell’immagine e della denominazione del bene culturale, in conseguenza della riproduzione non autorizzata.

D’altro canto, sebbene la direttiva (UE) 2019/790 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale, avesse previsto all’art. 14 e al Considerando 53 la possibilità di diffondere, condividere, anche online, e riutilizzare, anche per finalità commerciali e di lucro, riproduzioni di opere d’arte cadute in pubblico dominio, il legislatore italiano nel recepire la direttiva ha sancito all’art. 32-quater della l. 633/1941 che, alla scadenza della durata di protezione di un’opera di arti visive, quest’ultima cada in pubblico dominio “ferme le disposizioni in materia di riproduzione dei beni culturali di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42”.

E’ chiara la posizione dello Stato italiano e in tale contesto si inserisce anche l’atto di indirizzo del Ministro della Cultura dello scorso 13 gennaio, in linea con la missione di “digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura” del PNRR, volto a individuare gli indirizzi programmatici e le principali linee strategiche necessarie per proteggere il patrimonio culturale italiano rappresentato dalle immagini, anche digitali.

Secondo il Ministro, è necessario ridurre i casi di concessione a titolo gratuito degli spazi e delle immagini relative ai beni culturali e garantire un’adeguata remuneratività degli stessi, anche laddove la riproduzione e il riuso, a fini commerciali o lucrativi, siano previsti attraverso l’utilizzo delle moderne tecnologie, quali NFT, blockchain etc.”

Rimedi in caso di inadempienze o violazioni da parte di un genitore

Rimedi in caso di inadempienze o violazioni da parte di un genitore 150 150 federico_stissi

Nei casi in cui si verifichino inadempienze da parte di un genitore, la Riforma Cartabia ha previsto la disciplina all’ art. 473 bis.39 c.p.c., con rafforzamento dei poteri del Giudice inaudita altera parte.

La nuova disciplina prevede che: “in caso di gravi inadempienze, anche di natura economica, o di atti che arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento e dell’esercizio della responsabilità genitoriale, il giudice può d’ufficio modificare i provvedimenti in vigore e può, anche congiuntamente:
a) ammonire il genitore inadempiente;
b) individuare ai sensi dell’articolo 614-bis la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva ovvero per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento;
c) condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro a un massimo di 5.000 euro a favore della Cassa delle ammende.
Il giudice può inoltre condannare il genitore inadempiente al risarcimento dei danni a favore dell’altro genitore o, anche d’ufficio, del minore.
I provvedimenti assunti dal giudice del procedimento sono impugnabili nei modi ordinari”

La Riforma con tale norma supera l’interpretazione costituzionalmente orientata e ha precisato che rientrano nel novero delle “gravi inadempienzeanche quelle di natura economica e non solo quelle condotte infungibili.

L’articolo, inoltre, concede al giudice il potere di individuare la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva ovvero per ogni giorno di ritardo, con la cumulabilità del risarcimento del danno, si su richiesta di parte, sia d’ufficio da parte del Giudice nel caso venga disposto in favore del minore.

L’assegno di divorzio e la casa coniugale

L’assegno di divorzio e la casa coniugale 150 150 federico_stissi

Con l’Ordinanza n. 8764 del 28 marzo 2023, la Corte di Cassazione ha ribadito l’orientamento prevalente secondo cui nella assegnazione della casa familiare a uno o all’altro coniuge, allorquando vengono adottate le decisioni successive al divorzio, si deve tener conto che la casa familiare costituisce un’unità suscettibile di apprezzamento economico.

Partendo dalla sentenza a SSUU n. 32914/2022 in materia di separazione e dalla sentenza a SSUU n. 18287/2018 in materia di assegno divorzile, la Corte ha precisato che si deve dare il giusto rilievo anche all’assegnazione della casa familiare perché anche essa ha un valore economico.

La conseguenza è che laddove non si dia luogo a una adeguata valutazione, il provvedimento che attribuisce l’assegno di divorzio risulterà essere viziato per omessa valutazione e quindi riformabile.

ordinanza-8762

Debito di uno dei coniugi e beni in comunione legale

Debito di uno dei coniugi e beni in comunione legale 150 150 federico_stissi

La Corte di Cassazione Sezione III con l’Ordinanza del 4 gennaio 2023 n. 150 (link in calce) è ritornata sulla questione del debito contratto da uno dei coniugi e della successiva esecuzione da parte del creditore procedente per l’intero il bene ricadente nella comunione legale con l’altro coniuge.

Seppur la questione era già stata affrontata nei suoi tratti generali in plurime pronunce, la Cassazione ha precisato che in sede esecutiva non vi è alcuna irritualità o illegittimità degli atti della procedura nei confronti dell’altro coniuge almeno fino al trasferimento del bene a terzi.

Non si può, infatti, riconoscere al coniuge non debitore il diritto:

  • di incidere su tali atti;
  • di ottenere la separazione di parti o quote del bene;
  • di conseguire dalla procedura esiti diversi dalla vendita per l’intero.

Ciò che rimane in capo al coniuge non debitore è la corresponsione, in sede di distribuzione, della metà del ricavato lordo della vendita, dovuta in dipendenza dello scioglimento, limitatamente a quel bene, della comunione senza quote.

Cassazione Sezione III Ord. n. 150-2023

Tutela del Consumatore nella Esecuzione Forzata – Cassazione SSUU n. 9479/2023

Tutela del Consumatore nella Esecuzione Forzata – Cassazione SSUU n. 9479/2023 150 150 federico_stissi

Con la sentenza a SSUU n. 9479 pubblicata il 6 Aprile 2023 la Corte di Cassazione (link in calce) si è pronunciata sull’annosa questione della tutela del consumatore nell’esecuzione forzata fondata su titolo costituito da decreto ingiuntivo non opposto.

La Cassazione ha recepito quell’orientamento oramai prevalente della Corte di Giustizia dell’Unione Europea in virtù del quale, a fronte di un preliminare e corretto inquadramento del rapporto giuridico tra i soggetti, ossia tra professionista e consumatore, il titolo del creditore fondato su decreto ingiuntivo non opposto debba tener conto anche dell’eventuale carattere abusivo delle clausole contenute nel contratto stipulato tra professionista e consumatore in relazione all’oggetto della controversia. Con la conseguenza che, nel caso di esecuzione forzata, il Giudice della Esecuzione dovrebbe valutare a posteriori anche questo aspetto, se non già oggetto di puntuale pronuncia da parte del Giudice del Monitorio, rimettendo in termini (tardivi) il debitore, quindi superando il giudicato monitorio e, di fatto, paralizzando per un certo periodo la fase esecutiva.

La Corte di Cassazione, ben cosciente del fatto che la normativa e la prassi processuale ad oggi vigente non contemplano una simile ipotesi e che l’applicazione dei principi enunciati nella sentenza porterebbe a problemi applicativi riguardo i giudizi pendenti, si è proficuamente preoccupata di inserire in sentenza una elencazione dei principi di diritto a cui i Giudici e, di conseguenza, gli Avvocati, si devono adeguare e che di seguito si riportano.

“Fase monitoria
Il giudice del monitorio:
a) deve svolgere, d’ufficio, il controllo sull’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto stipulato tra professionista e consumatore in relazione all’oggetto della controversia;

b) a tal fine procede in base agli elementi di fatto e di diritto in suo possesso, integrabili, ai sensi dell’art. 640 c.p.c., con il potere istruttorio d’ufficio, da esercitarsi in armonia con la struttura e funzione del procedimento d’ingiunzione:

b.1.) potrà, quindi, chiedere al ricorrente di produrre il contratto e di fornire gli eventuali chiarimenti necessari anche in ordine alla qualifica di consumatore del debitore;

b.2) ove l’accertamento si presenti complesso, non potendo egli far ricorso ad un’istruttoria eccedente la funzione e la finalità del procedimento (ad es. disporre c.t.u.), dovrà rigettare l’istanza d’ingiunzione;

c) all’esito del controllo:

c.1) se rileva l’abusività della clausola, ne trarrà le conseguenze in ordine al rigetto o all’accoglimento parziale del ricorso;

c.2) se, invece, il controllo sull’abusività delle clausole incidenti sul credito azionato in via monitoria desse esito negativo, pronuncerà decreto motivato, ai sensi dell’art. 641 c.p.c., anche in relazione alla anzidetta effettuata delibazione;

c.3) il decreto ingiuntivo conterrà l’avvertimento indicato dall’art. 641 c.p.c., nonché l’espresso avvertimento che in mancanza di opposizione il debitore-consumatore non potrà più far valere l’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto e il decreto non opposto diventerà irrevocabile.

Fase esecutiva
Il giudice dell’esecuzione:

a) in assenza di motivazione del decreto ingiuntivo in riferimento al profilo dell’abusività delle clausole, ha il dovere – da esercitarsi sino al momento della vendita o dell’assegnazione del bene o del credito – di controllare la presenza di eventuali clausole abusive che abbiano effetti sull’esistenza e/o sull’entità del credito oggetto del decreto ingiuntivo;

b) ove tale controllo non sia possibile in base agli elementi di diritto e fatto già in atti, dovrà provvedere, nelle forme proprie del processo esecutivo, ad una sommaria istruttoria funzionale a tal fine;

c) dell’esito di tale controllo sull’eventuale carattere abusivo delle clausole – sia positivo, che negativo – informerà le parti e avviserà il debitore esecutato che entro 40 giorni può proporre opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 650 c.p.c. per fare accertare (solo ed esclusivamente) l’eventuale abusività delle clausole, con effetti sull’emesso decreto ingiuntivo;

d) fino alle determinazioni del giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 649 c.p.c., non procederà alla vendita o all’assegnazione del bene o del credito;

e) se il debitore ha proposto opposizione all’esecuzione ex art. 615, primo comma, c.p.c., al fine di far valere l’abusività delle clausole del contratto fonte del credito ingiunto, il giudice adito la riqualificherà in termini di opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. e rimetterà la decisione al giudice di questa (translatio iudicii);

f) se il debitore ha proposto un’opposizione esecutiva per far valere l’abusività di una clausola, il giudice darà termine di 40 giorni per proporre l’opposizione tardiva – se del caso rilevando l’abusività di altra clausola – e non procederà alla vendita o all’assegnazione del bene o del credito sino alle determinazioni del giudice dell’opposizione tardiva sull’istanza ex art. 649 c.p.c. del debitore consumatore.

Fase di cognizione
Il giudice dell’opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c.:

a) una volta investito dell’opposizione (solo ed esclusivamente sul profilo di abusività delle clausole contrattuali), avrà il potere di sospendere, ex art. 649 c.p.c., l’esecutorietà del decreto ingiuntivo, in tutto o in parte, a seconda degli effetti che l’accertamento sull’abusività delle clausole potrebbe comportare sul titolo giudiziale;

b) procederà, quindi, secondo le forme di rito.”

Sentenza Cassazione SSUU n. 9479-2023

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