Il caso sottoposto all’attenzione della Corte di Cassazione riguarda il problema delle donazioni e dei legati effettuati dal rinunciante all’eredità e della conseguente chiamata ereditaria c.d. “per rappresentazione” ai discendenti del rinunciante.
Fino ad ora, infatti, la Giurisprudenza di legittimità non si era mai pronunciata in vicende simili, seppur trattasi di ipotesi frequenti nella pratica di tutti i giorni.
Con la sentenza n. 12813-2023 (link in fondo alla pagina) la Cassazione, attraverso l’interpretazione in combinato disposto dell’art. 467 c.c. e dell’art. 552 c.c., ha statuito che il rinunciante può trattenere le donazioni e i legati effettuati in suo favore e il suo discendente, cui opera la rappresentazione e che consegue l’eredità, dovrà imputare tali atti alla quota di legittima nella quale subentra.
Partendo dalla lettura dell’art. 467 c.c. che disciplina l’istituto della “rappresentazione”, ossia il subentro del discendente all’ascendente (figlio o fratello del de cuius) che non possa o che non voglia accettare l’eredità e dell’art. 552 c.c., secondo cui “il legittimario che rinunzia all’eredità, quando non si ha rappresentazione, può, sulla disponibile, trattenere le donazioni e i legati a suo favore; ma quando non vi è stata espressa dispensa dall’imputazione, se per integrare la legittima spettante agli eredi è necessario ridurre le disposizioni testamentarie o le donazioni, restano salve le assegnazioni, fatte dal testatore sulla disponibile, che non sarebbero soggette a riduzione se il legittimario accettasse l’eredità, e si riducono le donazioni e i legati fatti a questo ultimo“, la Cassazione ritiene che la norma contempli in ogni caso il diritto del donatario di ritenere i beni oggetto della donazione e, in assenza di rappresentazione, gravano in ogni caso sulla quota disponibile.
Nel caso in cui, invece, si verifichi il subentro dei discendenti del rinunciante per rappresentazione, le stesse donazioni e legati vanno fatti gravare sull’indisponibile e quindi sulla quota di legittima.