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Superbonus 110%: chi paga per i ritardi?

Superbonus 110%: chi paga per i ritardi? 150 150 federico_stissi

Con la Legge di bilancio del 2022 il Governo ha deciso di porre un freno alla agevolazione fiscale c.d. “Superbonus del 110%” con cui si era cercato di dare una spinta ad uno dei settori più in crisi nel periodo post pandemia, ossia quello edile.

Ad oggi sono ancora moltissimi i cantieri aperti che speravano in una proroga (salvi colpi di coda dell’ultimo momento) e con le nuove percentuali, rispettivamente del 70% per fine lavori entro il 2024 e del 65% per i lavori ultimati nel 2025, i nuovi costi ricadranno necessariamente sui committenti.

Ma come si può far fronte ai ritardi nei cantieri?

Ce lo spiega il collega Avv. Stefano Scalbi in un bellissimo articolo edito sul Sole24Ore – NTPlus Diritto.

https://ntplusdiritto.ilsole24ore.com/art/superbonus-110percento-esecuzione-lavori-e-inadempimento-chi-paga-AF1n9M8B?cmpid=nl_ntDiritto

Finalmente la Cassazione afferma il cumulo delle domande di separazione consensuale e divorzio congiunto

Finalmente la Cassazione afferma il cumulo delle domande di separazione consensuale e divorzio congiunto 150 150 federico_stissi

Dopo mesi di incertezza interpretativa, la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 28727/2023 (link in calce) ha statuito che è ammissibile il ricorso dei coniugi proposto con domanda congiunta e cumulata di separazione e di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Con la riforma Cartabia che ha disciplinato le norme sul procedimento unitario in materia di persone, minorenni e famiglie (artt. 473- bis ss. c.p.c.) si sono fin da subito sollevati dubbi interpretativi sulla possibilità per i coniugi di proporre all’interno del procedimento in forma congiunta, la domanda di separazione e quella di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Infatti, la riforma aveva disciplinato espressamente questa possibilità solo per i giudizi contenziosi con l’art. 473-bis.49 c.p.c., con evidente disparità di trattamento tra i due procedimenti.

La decisione della Suprema Corte trae origine dal caso di una coppia che chiedeva al Tribunale di pronunciare cumulativamente la separazione consensuale e il divorzio congiunto.

Il Tribunale ha sottoposto, con rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 363 bis c.p.c., la questione alla Cassazione sull’ammissibilità del cumulo delle domande di separazione consensuale e il divorzio congiunto.

La Corte, premettendo la qualificazione di cosa sia il rinvio pregiudiziale e del relativo procedimento operativo, ha individuato la ratio nella stessa relazione illustrativa al D.Lgs. n. 149/2022, che trova il suo fondamento nel “un risparmio di energie processuali nel quale consisterebbe una delle ragioni della previsione dell’articolo 473-bis. 49 c.p.c.: trovare per le parti a fronte dell’irreversibilità della crisi matrimoniale in un’unica sede un accordo complessivo sia sulle condizioni di separazione che sulle condizioni di divorzio, concentrando in un unico ricorso l’esito della negoziazione delle modalità di gestione complessiva di tale crisi, disciplinando una volta per tutte i rapporti economici e patrimoniali tra loro i rapporti tra ciascuno di essi figli minorenni o maggiorenni non ancora autosufficienti, realizza indubbiamente un risparmio di energie processuali che può indurre le stesse a fare ricorso al predetto cumulo di domande congiunte.

Nel ripercorrere i filoni giurisprudenziali che si erano delineati subito dopo l’entrata in vigore della Riforma (ossia il Tribunale di Milano, Lamezia Terme, Genova e Vercelli per l’ammissibilità del cumulo delle domande di separazione personale e divorzio nei procedimenti non contenziosi e il Tribunale di Firenze che, invece, aveva negato il cumulo della domanda di separazione con quella di divorzio in forma congiunta), la Corte ha sottolineato che il rapporto tra l’impulso di parte e la risposta dell’organo giudiziario nei procedimenti contenziosi e in quelli congiunti è uguale perché in entrambi i casi, le parti propongono le proprie domande e formulano le relative conclusioni.

Anche l’argomento che impedirebbe l’ammissibilità del cumulo nei procedimenti su domanda congiunta con riferimento all’indisponibilità dei diritti coinvolti, la Corte lo esclude evidenziando che “i coniugi che propongono due domande congiunte di separazione divorzio cumulate in simultaneus processus, non concludono in sede di separazione un accordo sugli effetti del loro eventuale futuro divorzio, tale da condizionare la volontà di un coniuge o da comprimere i suoi diritti indisponibili”.

Pertanto, con l’Ordinanza in oggetto, la Suprema Corte ha statuito che: “In tema di crisi familiare, nell’ambito del procedimento di cui all’articolo 473 bis. 51 c.p.c., è ammissibile il ricorso dei coniugi proposto con domanda congiunta e cumulata di separazione di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio”.

Cassazione civile Ordinanza n. 28727-2023

Note di trascrizione separate per la costituzione di servitù nella compravendita

Note di trascrizione separate per la costituzione di servitù nella compravendita 150 150 federico_stissi

In caso di compravendita immobiliare non è più sufficiente la semplice annotazione nel quadro “D” della nota di trascrizione della vendita, ma è necessario presentare distinte note di trascrizione.

Così da deciso la Corte di Cassazione con la sentenza n. 28694/2023 (link in calce), cambiando l’indirizzo fino ad ora consolidato della giurisprudenza.

Nel caso di specie, l’atto del notaio aveva ad oggetto la compravendita di un mappale e la costituzione della servitù a carico di un altro mappale confinante rimasto in proprietà ai venditori, e poi successivamente venduto agli attuali ricorrenti.

La Corte d’Appello aveva errato nel sancire l’opponibilità ai terzi della servitù a carico del mappale rimasto in proprietà dei venditori, al quale conseguisse l’esplicita menzione della stessa nel quadro “D” della nota relativa al trasferimento immobiliare del mappale oggetto della prima compravendita.

La Corte ha così accolto il ricorso della coppia che chiedeva di accertare l’inopponibilità nei loro confronti della servitù di passaggio pedonale costituita in una vendita precedente a favore di un fondo confinante.

Secondo la Corte, l’art. 17 della legge n. 52/1985 induce piuttosto ad affermare che una vendita immobiliare (art. 2643, n. 1, c.c.) e una contestuale costituzione di servitù (art. 2643, n. 4, c.c.) a carico di altro fondo dell’alienante devono essere oggetto di distinte trascrizioni da effettuare sulla base di autonome note”.

Superando il precedente di legittimità, la Suprema Corte ha affermato il seguente principio di diritto: “Qualora un contratto di compravendita di un fondo contenga una ulteriore convenzione, costitutiva di un diritto di servitù in favore dell’immobile alienato ed a carico di altro fondo di proprietà del venditore, agli effetti dell’art. 17, comma 3, della legge n. 52 del 1985, è necessario presentare distinte note di trascrizione per il negozio di trasferimento della proprietà e per la convenzione di costituzione della servitù, né rileva, ai fini della opponibilità della servitù ai terzi, la menzione del relativo titolo contrattuale nel quadro “D” della nota di trascrizione della vendita, trattandosi di inesattezza che induce incertezza sul rapporto giuridico a cui si riferisce l’atto”.

Come spesso accade in questi casi, si potrebbe prospettare un intervento delle Sezioni Unite.

Cassazione civile sentenza n. 28694-2023

Successioni ereditarie e contratto preliminare di compravendita

Successioni ereditarie e contratto preliminare di compravendita 150 150 federico_stissi

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 25396/2023 (link in calce) ha statuito che quando un immobile oggetto di un contratto preliminare di compravendita stipulato dal de cuius cada in successione, il contratto definitivo deve essere stipulato con il consenso di tutti gli eredi, anche se si tratta di un bene indivisibile.

Così si è espressa la Corte accogliendo il ricorso di un degli eredi pretermesso nei confronti dei fratelli, i quali avevano proceduto alla vendita del bene senza la necessaria partecipazione di tutti gli eredi.

In primo grado il Tribunale, in accoglimento della domanda dell’erede ricorrente, aveva dichiarato la nullità dell’atto di compravendita a causa della mancata partecipazione alla stipula del comproprietario-coerede, disponendo inoltre il corso del giudizio per la domanda di divisione proposta dallo stesso.

La Corte di Appello ribaltando il giudizio di primo grado aveva escluso la nullità dell’atto di compravendita affermando che l’obbligazione di trasmettere la proprietà dell’immobile si sarebbe trasferita sugli eredi e trattandosi di obbligazione indivisibile l’esecuzione della stessa può essere effettuata da ciascuno degli eredi per l’intero, secondo le regole della solidarietà.

La Suprema Corte ha invece affermato che è vero che l’obbligazione di trasferire la proprietà di un immobile oggetto di comunione dà luogo all’indivisibilità dell’obbligazione, ma da tale affermazione non può derivare “l’irrilevanza della mancanza di partecipazione di un coerede all’atto, stante la natura obbligatoria del preliminare e l’estensione al suo adempimento, tramite l’esecuzione dell’obbligo a contrarre, della disciplina delle obbligazioni solidali“.

Infatti, la prestazione di trasferire la proprietà di un bene in comproprietà non è considerata avente natura solidale ma collettiva, non potendo operare il principio stabilito dall’articolo 1292 c.c., secondo cui ciascuno degli obbligati in solido può adempiere per l’intero e l’adempimento dell’uno libera gli altri, atteso che i promittenti sono in grado di manifestare il consenso relativo alla propria quota e non quello concernente le quote spettanti agli altri.

Pertanto, la domanda di adempimento deve dunque essere rivolta nei confronti di tutti i promittenti venditori determinando un litisconsorzio necessario che si genera nei confronti di tutti gli eredi.

Sentenza Cassazione Civile n. 25396-2023

Guida in stato di ebbrezza anche per il ciclista ubriaco

Guida in stato di ebbrezza anche per il ciclista ubriaco 150 150 federico_stissi

La condotta tenuta dal ciclista che risulta avere assunto alcool legittima la condanna per guida in stato di ebbrezza in quanto costituisce grave pericolo per gli altri utenti della strada.

In questo modo si è espressa la Corte di Cassazione Penale, Sez. IV, con la sentenza n. 34352/2023 (link in calce).

Nel caso in esame, la Corte d’Appello condannava un uomo per il reato di cui agli artt. 81 cpv c.p., D.Lgs. n. 285/1992, 186, comma 2, e 187, comma 1, escludendo però la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, aderendo ai precedenti conformi.

Nei primi gradi di giudizio, l’imputato lamentava che la caduta era avvenuta mentre trasportava il mezzo a piedi e non mentre si trovava in sella alla bicicletta, proprio perché lo stesso aveva assunto alcol e cannabis.

La modalità della condotta avvenuta non sul mezzo ma a piedi, avrebbe escluso, secondo l’imputato, anche l’applicazione della disciplina di cui agli artt. 186 e 187 C.d.S., configurabili solamente attraverso una applicazione analogica vietata in materia penale.

La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso inammissibile sulla scorta di elementi incontrovertibili

In primis, la ricostruzione fattuale della vicenda effettuata dall’imputato alla luce delle risultanze processuali è apparsa non condivisibile e irragionevole.

Inoltre, relativamente alla configurabilità delle fattispecie di reato contestate nel caso di guida di bicicletta, la Corte ha richiamato il consolidato orientamento della giurisprudenza secondo cui “il reato di guida in stato di ebbrezza ben può essere commesso attraverso la conduzione di una bicicletta, posto che anche tale mezzo è idoneo a interferire sulle generali condizioni di regolarità e di sicurezza della circolazione stradale, ferma la inapplicabilità concreta delle sanzioni amministrative accessorie previste per tale reato, come, ad es., della sospensione della patente di guida, non praticabile nel caso in cui per la guida del mezzo non sia prevista abilitazione” (Cassazione SSUU n. 12316/2002).

Cassazione penale sentenza n. 34352-2023

Il controllo sulla documentazione nella Crisi da Sovraindebitamento

Il controllo sulla documentazione nella Crisi da Sovraindebitamento 150 150 federico_stissi

Con la sentenza n. 22900 del 2023 (link in calce), la Corte di Cassazione ha finalmente chiarito che il controllo sulla documentazione necessaria per l’omologazione del piano del consumatore nella procedura di Composizione della Crisi da Sovraindebitamento compete innanzitutto all’O.C.C. e, successivamente al Giudice con il provvedimento di omologazione del piano, restando esclusa a posteriori qualsivoglia onere nel confronti del debitore.

Il caso riguardava un piano validato dall’O.C.C. e successivamente munito di omologa da parte del Giudice, nel quale tuttavia non erano indicati gli estremi delle formalità da cancellare e nemmeno le modalità di cancellazione.

La Suprema Corte ha statuito che il controllo effettuato dagli organi della procedura presuppone da un lato che il quel controllo sia stato effettuato e dall’altro “impedisce che l’incompletezza della documentazione necessaria alla sua attuazione possa essere imputata al consumatore, il quale pertanto non può essere chiamato a sopportarne le conseguenze negative, come è invece accaduto all’odierna ricorrente“.

Di più, la Corte aggiunge che “Tutti elementi danno corpo ai prospettati tratti di abnormità del provvedimento impugnato, il quale si è soffermato a valutare la mancata osservanza di oneri probatori che, per quanto osservato, non gravavano sul consumatore, cui è stato così impedito di dare attuazione al piano già omologato, e al quale è stato altresì addossato il rischio di subire la conversione nella procedura liquidatoria, con perdita della disponibilità dell’abitazione che la procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento mirava a scongiurare“.

Sentenza n. 22900-2023

La nuova “corrispondenza” alla luce del caso Renzi

La nuova “corrispondenza” alla luce del caso Renzi 150 150 federico_stissi

La Corte Costituzionale con la sentenza n. 170 del 2023 è intervenuta nel c.d. caso Renzi, relativamente alla acquisizione da parte della Procura di “contenitori” di dati informatici appartenenti a terzi come telefoni, pc e talbet, i quali contengono messaggi scambiati con un parlamentare.

Il fine della pronuncia era risolvere il conflitto di attribuzione proposto dal Senato nei confronti della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Firenze, nella parte in cui era diretto a contestare la legittimità dell’acquisizione di corrispondenza del Senatore Renzi in violazione dell’art. 68 co. 3 della Costituzione (mancanza di autorizzazione).

La Corte Costituzionale ha accolto le doglianze dichiarando che la Procura non poteva acquisire, senza preventiva autorizzazione del Senato, messaggi email e whatsapp del parlamentare, o a lui diretti, conservati in dispositivi elettronici appartenenti a terzi, con la conseguenza di dover sospendere l’estrazione.

Senza entrare nel merito della vicenda, l’aspetto novativo e più attuale espresso dalla Corte riguarda la nozione di “corrispondenza”.

La Consulta, infatti, ha riconosciuto costituzionalmente rilevante in tema di corrispondenza anche quella tramite mail e messaggistica su app, la cui tutela non si esaurisce con la ricezione del messaggio da parte del destinatario, ma perdura fin tanto che esso conservi carattere di attualità e interesse per gli interlocutori.

Restituzione del prestito all’ex coniuge

Restituzione del prestito all’ex coniuge 150 150 federico_stissi

Con l’ordinanza n. 11664 del 2023 (link in calce), la Corte di Cassazione è intervenuta in merito alla sorte di alcuni prestiti avvenuti fra coniugi, stabilendo con quali criteri il prestito debba essere restituito.

Nello specifico, la Corte ha individuato alcuni criteri :

  • si parla di prestito quando è già in corso una crisi matrimoniale;

  • si parla di prestito quando il vantaggio economico è godibile solo dal coniuge ricevente e la dazione di denaro supera le possibilità economiche del mutuante;

  • l’attore che agisce per chiedere la restituzione del prestito è tenuto a fornire la prova del titolo su cui fonda la sua pretesa;

  • chi riceve il denaro altrui non è autorizzato a trattenerlo senza causa, svincolandosi dalla obbligazione naturale;

  • non sono ammissibili nel nostro ordinamento trasferimenti di ricchezza ingiustificati, ossia privi di una causa legittima che giustifichi il passaggio di denaro o di beni da un patrimonio ad un altro.

Tali criteri risultano essere dirimenti e fondamentali per differenziare gli apporti effettuati da uno dei coniugi al menage familiare (i quali non devono essere restituiti) e prestiti veri e propri concessi da un coniuge all’altro (che conservano l’obbligazione restitutoria).

Cassazione Ord. n. 11664-2023

Membri del C.D.A. e concorso in dichiarazioni fraudolente

Membri del C.D.A. e concorso in dichiarazioni fraudolente 150 150 federico_stissi

Con la sentenza n. 31017 del 2023 (link in calce) la Corte di Cassazione Sez. III Penale è intervenuta in materia di concorso dei membri del c.d.a. nel caso di dichiarazioni fraudolente per false fatturazioni, casistica molto diffusa ma con scarse pronunce da parte della Corte di legittimità.

Il caso affrontato si riferisce ad una società s.r.l. alla quale veniva contestato l’utilizzo in dichiarazione di fatture soggettivamente inesistenti e nel procedimento penale scaturito venivano coinvolti per violazione dell’articolo 2 del D. Lgs. n. 74 del 2000, sia l’amministratore che aveva sottoscritto la dichiarazione sia gli altri due membri del c.d.a. dotati di poteri sociali disgiunti differenti.

Con il ricorso per Cassazione, i membri del c.d.a. lamentavano che la sentenza di condanna si era limitata a valorizzare solo il dato della loro carica, senza valutare la loro estraneità rispetto alle vicende e quindi alla sottoscrizione della dichiarazione.

La Suprema Corte, mutuando l’orientamento consolidato con riferimento ai reati di bancarotta, ha ribadito che la responsabilità degli amministratori, privi di delega, per omesso impedimento dell’evento, è configurabile ove sia provata l’effettiva conoscenza dei fatti pregiudizievoli o quanto meno di segnali di allarme, nonché la volontà di non attivarsi per scongiurare detto evento.

Anche ai fini penali tributari, gli amministratori di una società che non abbiano sottoscritto una dichiarazione fiscale fraudolenta avendovi provveduto il consigliere delegato, concorrono anch’essi nel reato solo ove siano stati a conoscenza dell’inserimento di falsi documenti in contabilità e non si siano attivati per impedire la loro indicazione in dichiarazione.

Pertanto, la Corte ha statuito che i membri del c.d.a. che non hanno sottoscritto la dichiarazione fraudolenta, rispondono in concorso del reato con l’amministratore che l’ha firmata, solamente quando hanno avuto conoscenza dell’illecito e, consapevoli della responsabilità derivante, non si siano attivati per impedire l’indicazione delle fase fatture.

Cassazione sez III Penale n. 31017

Responsabilità della scuola per incidente occorso al discente

Responsabilità della scuola per incidente occorso al discente 150 150 federico_stissi

Qual è il limite alla responsabilità della scuola per l’incidente occorso all’alunno nell’istituto scolastico durante le ore di lezione?

E’ quanto affrontato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza in commento (link in calce), con la quale viene statuito che la responsabilità per l’istituto sussiste solo quando ci sia una pericolosità oggettiva dei luoghi.

Nei fatti una ragazzina transitava dai bagni verso l’aula e in quel frangente cadeva rovinosamente sulle scale riportando una frattura alla gamba.

In primo e in secondo grado era già stato provato che la minore non soffriva di particolari patologie idonee a ridurre l’autonomia e la capacità di deambulazione e che non vi era una particolare condizione di pericolosità dei luoghi quali usura dei gradini o presenza di sostanze scivolose, imputando l’evento dannoso esclusivamente alla condotta disattenta della ragazza.

La Suprema Corte, confermando quanto già stabilito in sede di Appello, ha escluso la violazione del dovere di vigilanza da parte della scuola e degli insegnanti, non essendo esigibile una sorveglianza continua dell’alunno comprensiva anche del tragitto intercorrente tra il bagno e l’aula di lezione.

Pertanto, in assenza della prova della danneggiata diretta a individuare la causa dell’evento dannoso nella mancata osservanza di cautele o condizioni di potenziale pericolosità dello stato dei luoghi, l’istituto scolastico non risponde dell’incidente occorso al discente nel tragitto bagno-classe quando non siano presenti elementi che possano aver indotto la caduta.

Cassazione Civile Ordinanza n. 15190-2023

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